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DOCUMENTO PREPARATORIO
ALLA CONFERENZA TERRITORIALE
SULLA SCUOLA
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1 LE
IDEE IN MOVIMENTO:
SCENARI DEL CAMBIAMENTO NEL SISTEMA EDUCATIVO LOCALE
1.1. LA CONOSCENZA E LA FORMAZIONE
PER MIGLIORARE
LA QUALITA’ DELLA VITA
I diritti della persona: il diritto alla conoscenza
Nella società della conoscenza la
cultura e il sapere di ciascuno sono la premessa per
garantire la qualità della vita di tutti, e per
dare sostanza quotidiana a valori fondamentali quali
la libertà, la giustizia sociale, la certezza
del diritto, l’uguaglianza di tutti i cittadini
di fronte alla legge e il diritto ad un sistema avanzato
di tutele e previdenze. I cittadini rafforzano la loro
fiducia nei confronti delle istituzioni politiche locali,
regionali e nazionali quando le aspettative e il diritto
alla qualità della vita di ciascuno e di tutti
sono perseguiti con azioni incisive e progetti verificabili.
Il sapere e la cultura costituiscono
per il nostro territorio valori fortemente condivisi
e fanno parte delle aspettative di vita di ciascuna
famiglia quando pensa al futuro dei figli; il conseguimento
di un diploma o di una laurea è considerato uno
strumento di “accreditamento” e un traguardo
sociale personale e collettivo non eludibile.
La cultura viene vissuta come un diritto,
ma anche come un bisogno, tipico della
nostra società della conoscenza, anche al di
là della sua immediata spendibilità sul
mercato del lavoro.
Gli interrogativi che ci dobbiamo porre riguardano la
pienezza di questo valore e di questo diritto, rispetto
alle necessità di sviluppo culturale, formativo,
democratico ed economico delle persone e della società.
Il ben-essere di ciascuno e di tutti
A scuola si fa esperienza di democrazia,
di equilibrio, di coerenza, di giustizia e di utopia,
in altre parole di ben-essere.
La percezione dell’ambiente di vita da parte degli
studenti, degli insegnanti e delle famiglie è
legata alla percezione di benessere
(o di malessere) che può offrire un luogo di
vita e di lavoro come la scuola.
Sempre di più si parla del clima della scuola
o di clima di classe, quali condizioni
da osservare e valutare, per capire come «stanno”
le persone.
Anche senza volerlo, ogni Scuola struttura un “suo”
clima con un implicito curricolo civico che incide sulla
formazione dei concetti di democrazia, di giustizia,
di coesione sociale, di tutela delle persone in difficoltà.
Ecco perché i modelli di partecipazione,
di trattamento dei problemi controversi, di rispetto
delle opinioni, i gradi di tolleranza al dissenso, alla
dissonanza o alla divergenza, le procedure decisionali
e valutative, cioè la qualità e l’eticità
delle relazioni, sono le basi del ben-essere di ciascuno
e di tutti.
I saperi sociali e di cittadinanza
La società della conoscenza propone
con una certa nettezza i saperi nuovi che possono servire
al futuro lavoratore, imprenditore o professionista.
Le dinamiche della globalizzazione, la cultura del lavoro,
l’innovazione nella gestione delle imprese, le
nuove tecnologie, l’idea di rete, l’interdipendenza
dei ruoli e delle funzioni sono basi di riferimento
per capire il cambiamento.
Le politiche innovative per la formazione delle risorse
umane (il capitale cognitivo) attingono le loro parole
d’uso prevalentemente dall’economia politica
e dalla cultura organizzativa. Sembra quasi che la cultura
scolastica non disponga di un vocabolario d’uso
significativo ai fini della formazione delle future
generazioni.
L’uso dei linguaggi non è indifferente
e privare la scuola del suo «lessico pedagogico”,
ha un valore emblematico del futuro che si vuole assegnare
all’istituzione scolastica. La stessa elaborazione
dei curricoli delle scuole (nazionali
e locali) merita in questo senso un approfondimento,
per verificare come i cosiddetti “saperi sociali
e di cittadinanza” trovino un posto adeguato nella
formazione dei giovani.
L’idea di sviluppo sostenibile o di sostenibilità
ambientale, la riflessione sui flussi demografici e
migratori delle popolazioni del mondo, gli scenari della
cooperazione internazionale, i dislivelli di popolazione
attiva presenti su di un territorio (ove un’intera
generazione di giovani entra sempre più tardi
sul mercato del lavoro), la conoscenza dei potenziali
di sviluppo urbanistico di una città sono alcune
delle grandi tematiche civili che possono
innovare i curricoli delle Scuole assieme alle conoscenze
di tipo informatico e alla conoscenza delle lingue.
1.2. LA FORMAZIONE PER COMPETERE
E PER COOPERARE
Formazione e progresso
La tecnologia è
il paradigma del cambiamento, ormai, in ogni settore.
Ora ne avvertiamo maggiormente il peso nel mondo del
lavoro e dell’informazione, ma la sua presenza
comincia a farsi sentire in modo sempre più forte
anche nell’ambito biologico, prefigurando una
relazione inaspettata tra tecnologia e corpo umano,
soprattutto per i suoi risvolti etici, visto che saremo
chiamati sempre più spesso a definire o ridefinire
i confini tra il bene e il male.
Un altro tema dell’innovazione tecnologica è
la virtualità, cioè la
possibilità di gestire attraverso realtà
meccaniche sensazioni dal vivo. La robotica sostituirà
sempre di più il lavoro dell’uomo e tutti
potranno accedere a livelli più elevati di creatività
e partecipazione. Ma il vero problema sarà l’accesso
universale ai prodotti della scienza e della
tecnologia.
La formazione, intesa in senso generale come strategia
di acquisizione dei saperi, assumerà
un ruolo decisivo, perché questa nuova era imporrà
nuove sfide e nuovi orizzonti alla formazione delle
persone chiamate a “resistere con successo alle
sollecitazioni mortificanti o dispersive dell’ambiente”.
Nuove tecnologie e nuovi saperi
Quanto più si estendono la pratica
elettronica e la rete, quanto più menti e intelligenze
saranno assorbite nella navigazione,
tanto più occorrerà districarsi da certe
strettoie e dotare i “naviganti” di salvagente,
cioè di un forte baluardo di conoscenza, ma anche
di competenze metacognitive, con un’operazione
strategica che è anche marcatamente scolastica.
Oggi, pensare alla formazione senza adeguati impianti
concettuali, svincolata cioè dalla conoscenza
scientifica (telemedicina, robotica, biopsicologia,
ecc.) e senza un discorso sull’uomo nella società
della conoscenza, è come costruire il noto castello
di sabbia: le competenze diventano rapidamente obsolete
e la mente rimane inattiva, non adeguata a “vivere”
il non lavoro (in qualche modo remunerato); come capita
spesso ai pensionati quando la macchina-lavoro si ferma
e loro si sentono perduti.
“Compito fondamentale della scuola è garantire
a chi la frequenta: lo sviluppo di tutte le sue potenzialità
e la capacità di orientarsi
nel mondo in cui vive (sia esso l’ambiente di
più diretto riferimento, o lo spazio sempre più
esteso della comunicazione e dell’interscambio),
al fine di raggiungere un equilibrio attivo dinamico
con esso; l’assimilazione e lo sviluppo della
capacità di comprendere, costruire, criticare,
argomentazioni e discorsi, per dare significato alle
proprie esperienze e anche difendersi da messaggi talvolta
truccati in termini di verità e di valore”
(Documento
sui “saperi essenziali”, MPI, 1998.)
Il dato pervasivo, anche se non lo si vuole enfatizzare,
è la tecnologia. Se ci si pone fuori da questa,
l’istituzione è destinata a fallire, non
perché carente nei confronti delle esigenze professionali
future, ma perché priva dello strumento culturale
in grado di organizzarle, della visione di una vita
ormai sospesa fra reale e artificiale, alla definizione
dei cui limiti saremo con forza chiamati, pena la caduta
del nostro «benessere” (felicità)
individuale e collettivo. Ciò significa proiettarci
nell’ apprendimento multimediale,
per recuperare, spesso in contrasto con la scuola, la
multimedialità presente in noi (es: l’oralità
e la gestualità) e schiacciata dalla tradizione
(es: la predominanza della cultura alfabetica), e per
ricomporre il «conflitto che oggi ci troviamo
a vivere, tra pratiche di conoscenza sempre più
massicciamente multimediali e forme di conoscenza ancora
rigidamente monomediali”.
In questo scenario si colloca un rinnovato ruolo della
formazione professionale, in bilico
fra il vecchio e il nuovo, fra una concezione assistenzialistica
e le acquisizioni culturali innegabili, in una continua
altalena fra mentalità obsoleta e mentalità
emergente. Allo stato attuale non sappiamo ancora quali
potranno essere gli sviluppi. Occorrono forti tensioni
unitamente alla saggezza dell'esperienza per cogliere
e sviluppare il tema dominante dell’innovazione
tecnologica. E’ qui che la formazione professionale
può coniugarsi con la pro-attività e la
creatività.
Per formazione professionale attiva
s’intende oltre all’apprendimento delle
tecniche anche la capacità di estendere competenze
nel settore: ad es. un programmatore, oltre alla professionalità
specifica, non può ignorare la virtualità
e alcune componenti di carattere economico-commerciale
della sua attività. In altri termini non gli
possono mancare il desiderio e il piacere di
conoscere.
La formazione professionale creativa,
oltre al plafond culturale della formazione attiva,
deve recepire l’ulteriore apporto derivante dalla
valenza delle nuove tecnologie. Ciò significa,
continuando sull’esempio precedente, che un programmatore
accede alle conoscenze su intelligenza artificiale,
mente e pensiero, comunicazione, virtualità,
biotecnologie, coscienza. Si tratta di potenziare l’assetto
teorico, le interattività fra i vari concetti,
lo sviluppo del lavoro e del lavoratore; di misurarsi
col progetto di crescita; di predisporsi reattivamente
agli squilibri che si produrranno ai vari livelli.
Saper intraprendere. Saper cooperare per saper
competere
Un progetto di Istruzione e formazione non
può ignorare questa riflessione, queste idee,
prima di affrontare l’architettura del sistema,
con la sua organizzazione e la dotazione di risorse
necessarie per il suo funzionamento.
Al centro del lavoro pedagogico deve essere posta la
ricerca costante di valorizzazione e ottimizzazione
delle potenzialità dei soggetti,
appassionandosi alle loro diversità e alla molteplicità
dei talenti e delle intelligenze presenti in essi. I
destini delle persone perlopiù si costruiscono
nel periodo della loro formazione: il significato vero
di COMPETERE (CUMPETERE, tendere insieme a un obiettivo
- stessa radice di COMPETENZA) si acquisisce in un ambiente
di “apprendimento cooperativo”
e l’intraprendere è favorito dal sistematico
utilizzo del “metodo di ricerca”.
1.3. IL SENSO DELLA RESPONSABILITA’.
LA COSTRUZIONE DI UN ECOSISTEMA FORMATIVO
Luci e ombre
In questi ultimi anni si registrano notevoli
sforzi da parte delle istituzioni scolastiche pubbliche
e private, per rilanciare e potenziare i servizi formativi
e renderli congruenti con le attese dei cittadini. Tuttavia,
la crescente complessità e diversificazione
delle azioni intraprese per fronteggiare le spinte al
cambiamento provenienti dal contesto socio-economico,
tecnologico e demografico, la notevole variabilità
qualitativa e quantitativa dei programmi e degli strumenti
usati, la forte diversità nella
distribuzione territoriale e nell’accessibilità
dei servizi formativi stessi hanno prodotto anche effetti
indesiderati nel sistema formativo locale, che rischiano
di ostacolare il conseguimento delle finalità
socialmente condivise attribuite ai processi formativi
scolastici ed extrascolastici lungo l’intero arco
di vita degli individui. Ci si riferisce, in particolare,
alle seguenti tendenze:
a. la prevalente strategia individualistica
nell’interazione tra persona e servizi formativi,
che si concretizza in genere con un’azione diretta
e un investimento personale, ma che andrà verificata
socialmente in rapporto alle caratteristiche dinamiche
del contesto territoriale nei suoi differenti livelli,
pena il rischio dell’equivoco sociale (oltre che
dell’insuccesso formativo).
b. la discontinuità delle
modalità di sostegno ed erogazione formativa
in rapporto all’evoluzione dei bisogni della persona
stessa. Essa costituisce l’effetto di un’eccessiva
frammentazione delle risorse formative, spesso non disponibili
per qualità e quantità al momento in cui
servono. Ciò rende più nebulosa e difficile
per gli stessi istituti formativi la percezione dell’evoluzione
delle esigenze della stessa persona nel tempo.
C. Il “ridotto numero di relazioni
reciproche tra i vari enti che gestiscono azioni
formative (scuole pubbliche e private di vario
ordine e grado, enti di formazione professionale, università),
con la prevalenza di modelli di interazione competitiva.
I rischi di questa prospettiva sono evidenti: la
frammentazione delle risposte; la ridotta sensibilità
per certe categorie sociali di soggetti (ad esempio,
fasce deboli e a rischio); la replicazione di iniziative
di più facile attuazione; la ridotta valorizzazione
delle esperienze e il limitato interscambio
con le varie sedi formative. Tutto ciò porta
ad un modesto interesse per il contesto, le istituzioni
esterne di tipo sociale, economico, culturale, formativo,
con una scarsa propensione all’innovazione e alla
valutazione delle attività (e quindi alla pianificazione
su scala territoriale).
Ecosistema formativo
La possibilità di contrastare tali
rischi e di definire le condizioni per uno sviluppo
della scuola e della formazione in ambito territoriale
possono fondarsi sulla nozione di ecosistema
formativo inteso come sistema autoregolato
in cui i diversi attori sociali (organizzazioni, enti,
istituzioni, imprese, ecc.) si assumono responsabilità
reciproche circa programmi di azione condivisi.
L’esigenza di aumentare e qualificare i livelli
di interazione reciproca non deriva solamente da possibili
vantaggi funzionali o da economie di scala, ma dalle
stesse necessità organizzative di offrire risposte
ottimali, entro i limiti delle risorse a disposizione.
In questo modo, i confini organizzativi tra scuole,
enti di formazione, sedi di apprendimento e di lavoro,
la città (intesa come spazi, risorse e amministrazione)
si fanno meno netti e stimolano la prospettiva della
complementarità e della sussidiarietà.
L’idea di ecosistema formativo locale rende possibile
affrontare il problema della qualità della formazione
non solamente nella sua prospettiva meramente tecnica,
ma come modalità di rapporto significativo con
i cittadini utenti dei servizi formativi. Operare nella
consapevolezza di far parte dì un ecosistema
orienta verso la costituzione e la regolazione di rapporti
tra i differenti attori coinvolti, anche quando può
esistere una sorta di competizione di mercato tra le
varie organizzazioni.
L’ottica di sistema spinge consapevolmente alle
interazioni tra le parti:
• per ricavare vantaggi funzionali
interni (effetti intra-organizzativi: aumento della
specificità, coesione, qualità professionale,
ecc.);
• per regolare meglio l’intero
sistema (effetti extra-organizzativi: analisi dei bisogni
territoriali e diagnosi della situazione, pianificazione
e progetti; estensione e ripartizione; assunzione di
metodi di concertazione, ecc.).
Il confronto e lo scambio sociale, infatti, possono
rendere consapevoli delle strategie necessarie per mantenere
un buon funzionamento complessivo (anche
per rispondere alle esigenze del territorio non ancora
affrontate o identificate) e sviluppare, consolidare
e diffondere le “buone pratiche”
(per migliorare la capacità di risposta dell’intero
sistema e non solo della propria organizzazione).
Per una cultura di rete
Un’attenzione sempre maggiore viene
data attualmente alle relazioni che ogni istituzione,
ente o organizzazione intrattiene con l’ambiente
in cui opera.
L’ambiente esterno all’organizzazione è
fatto di potenziali utenti, di risorse materiali e non,
di norme e regole sociali, ma anche di altre organizzazioni
con gradi di prossimità diversificati. Ciò
ha portato a identificare modelli interpretativi che
valorizzano appunto il contesto delle organizzazioni
“collegate in rete” (network),
rete di cui ogni organizzazione costituisce una sorta
di “nodo”.
La principale caratteristica di queste reti che possiamo
definire “sociali” (perché
non necessariamente coincidenti con i legami tecnologici
e informatici) consiste nell’essere basate su
relazioni e transazioni finalizzate allo scambio di
informazioni, beni, servizi, risorse, e alla utilizzazione
dei legami per un migliore perseguimento degli obiettivi
comuni e di quelli specifici.
In un dato contesto territoriale (ad esempio in un comune
o in un distretto intercomunale) l’insieme di
organismi (centri di formazione, scuole, istituzioni
formative, università, enti pubblici e privati,
aziende, associazioni di categoria, ecc.) che erogano
servizi per lo sviluppo e la diffusione del sapere (e
delle competenze) costituiscono la rete naturale
dei servizi.
Poiché le opportunità di interscambio
e di collegamento in rete sono ormai riconosciute come
una risorsa collettiva da usare con oculatezza, il vero
problema è quello di passare da rete naturale
a rete sociale integrata, cioè
intenzionalmente costituita e regolata per aumentare
la qualità e la rispondenza dell’offerta
formativa alle caratteristiche della domanda cognitiva
presente nel territorio.
Tale rete non nasce dal nulla e non costituisce un semplice
artificio comunicativo tra enti
e organizzazioni. Essa richiede concertazione
e dialogo sociale tra gli attori, nonché
risorse e coordinamento da parte delle istituzioni di
governo territoriale per conseguire gli obiettivi consensualmente
assegnati alla formazione nel sistema sociale locale.
La rete “sociale” permette di ridurre alcune
“criticità” e quindi di:
• valorizzare la collaborazione
e le esperienze dei differenti attori sociali che operano
nella formazione, anche di coloro che tendono spontaneamente
a isolarsi o ad essere trascurati;
• prevenire o eliminare ridondanze
operative (ad es.: duplicazione degli interventi e delle
iniziative formative), riducendo le carenze qualitative
e quantitative di programmi di azione in dati settori
o per certe categorie sociali;
• articolare e coordinare gli interventi e le
proposte formative in base alla specificità di
risposte ai diversi bisogni degli utenti, alimentando
comunque una “cultura comune del servizio”
con programmi di azione anche differenziati, ma tra
loro compatibili;
• prevenire conflitti di competenza
anche mediante la circolazione efficace delle informazioni
sul tipo di servizi erogati e sulla loro possibile complementarietà
rispetto alle esigenze o alla domanda sociale di varie
categorie di utenti;
• produrre regole condivise sugli standard
che caratterizzano le metodologie di intervento formativo,
riducendo le incertezze e le difficoltà di comprensione
per l’utente.
1.4. LA SCUOLA DELL’AUTONOMIA
E I SUOI “ALLEATI”
Un ambiente per dare “senso”
all’educazione
In uno scenario sociale e culturale in rapida
trasformazione, l’autonomia scolastica invita
le scuole a progettare l’offerta formativa,
a definire le caratteristiche degli insegnamenti e delle
attività educative, a sviluppare forme di verifica
e di rendicontazione dei processi e dei risultati. Questo
diritto di iniziativa si esplica nell’ambito di
regole nazionali che assicurano l’unitarietà
del progetto culturale della scuola pubblica italiana
e garantiscono i livelli essenziali (ottimali) nella
fruizione dei diritti civili e sociali (tra cui, fondamentale,
il diritto all’istruzione).
Il curricolo della scuola trova le
sue ragioni e i suoi fondamenti negli indirizzi
di carattere nazionale e nelle scelte
locali (ad opera della scuola, d’intesa
con il sistema degli enti locali, come viene proposto
dal Progetto di Legge che la Regione Emilia-Romagna
sta elaborando in attuazione del nuovo Titolo V della
Costituzione) e determina anche lo “spazio”
concettuale e operativo di un “sistema
formativo integrato” dove la scuola non
assorbe e non esaurisce tutte le opportunità
educative e si allea con i diversi soggetti del territorio
(genitori, associazionismo, enti locali, “terzo
settore”, ecc.).
L’autonomia non può essere
interpretata come un casuale “fai da te”
localistico, perché deve rendere possibile un
progetto educativo che affonda le sue radici nei segni
del territorio e della comunità di appartenenza,
per aprirsi con serenità e consapevolezza al
futuro e agli altri. La scuola non
è solo una ricostruzione accademica del passato,
perché è orientata dagli interrogativi
sul presente.
Dobbiamo dare ai ragazzi il senso
dell’identità propria e altrui;
aiutarli a de-banalizzare il “quotidiano”,
a scoprire il “senso” delle cose, ricostruirle,
vederle in una luce diversa per apprezzarle, per non
consumarle troppo in fretta... Questo è ciò
che chiamiamo formazione disinteressata,
ma forse è proprio quella più utile in
un mondo dove i lavori cambieranno in fretta e servirà
un’intelligenza “curiosa” per affrontare
problemi, lavorare in gruppo, portare a termine un compito
con passione.
Attraverso le proprie scelte, la scuola
deve riuscire a promuovere queste caratteristiche. Non
si tratta di rendere più facile la formazione
(proponendo solo esperienze concrete, piacevoli, partecipate,
operative) o di distruggere la sua base culturale (limitandosi
a garantire la socializzazione, lo star bene insieme).
La scuola ha dei compiti impegnativi di formazione
culturale: deve fornire abilità e strumenti
duraturi per pensare, conoscere, immaginare, capire
e lo fa attraverso le discipline di studio.
Le discipline “valgono” se liberano energie;
esse pongono dei vincoli, dei confini, delle strutture,
ma — appunto — per “disciplinare”
l’intelligenza e la mente. In questa ottica le
discipline diventano contesti operativi e simbolici
(campi di esperienza) e tutto questo comincia fin dalla
scuola dell’infanzia, perché già
a 3 anni si fanno scienze, lingua, matematica, arte,
musica, ecc., ed è molto importante cominciare
bene a 3 anni per continuare a farlo bene a 16 anni.
Il curricolo nella scuola: la progettazione
partecipata
Gli spazi di ricerca sul curricolo devono
considerare almeno tre livelli di operatività
nella scuola dell’autonomia:
a) il curricolo come offerta formativa
effettivamente progettata, come insieme degli insegnamenti
e delle attività in un contesto operativo (tempi,
spazi, gruppi) sostenibile e praticabile. Diventano
importanti le sedi di partecipazione,
di decisione e di responsabilità
nel configurare le caratteristiche dell’offerta
formativa, gli spazi di dialogo e di interlocuzione
attiva con i soggetti “esterni” alla scuola
(per meglio contestualizzare il progetto e arricchirlo
con una adeguata conoscenza dell’ambiente sociale
e culturale di riferimento), l’etica del “render
conto”, del documentare i processi, attraverso
la pratica della valutazione e dell’autovalutazione;
b) i curricoli come organizzazione di un insegnamento,
di una disciplina, cioè il suo caratterizzarsi
come ambiente di apprendimento e di formazione. Vanno
conosciuti e padroneggiati gli “oggetti”
delle discipline, e va fatta una scelta di contenuti
significativi, anche attraverso forme di coinvolgimento
degli stessi ragazzi, capace di dialogare con l’esistenza.
Analogamente, è indispensabile sviluppare una
riflessione sulle caratteristiche dell’apprendimento,
sui suoi aspetti costruttivi e interattivi, sulla sua
qualità interna, cioè sulla capacità
di connessione;
c) il curriculum, come percorso formativo
coerente, dai 3 ai 18 anni. In questi anni si è
investito molto sulla verticalità
del curricolo (es.: scuola di base unitaria), ma non
si è raccolto altrettanto (se si esclude il “successo”
degli istituti comprensivi, su cui sarebbe opportuno
ritornare).
Occorre riflettere sul rapporto tra elementi di primarietà
e di secondarietà nell’insegnamento:
sulle polarità vicinanza/distanza, contesto/testo,
informale/formale, predisciplinare/disciplinare. Occorre
garantire alla scuola effettive condizioni operative
per alimentare la ricerca sul curricolo, prevedendo
eventualmente figure ad hoc che svolgano tale attività.
Innanzitutto è necessario disporre di quadri
(Indirizzi o Indicazioni nazionali),
frutto di un dibattito aperto e pluralistico. Si richiede
poi un sistema valutativo coerente
con le scelte pedagogiche e culturali, per evitare l’enfasi
docimologica, la pretesa della misurabilità di
ogni prestazione scolastica, l’uso tecnico (e
politico) improprio che si potrebbe fare dei dati forniti
da un sistema nazionale di valutazione basato esclusivamente
su prove standardizzate.
Agli operatori scolastici vanno forniti incentivi che
stimolino un lavoro di ricerca (dipartimenti
disciplinari con figure di coordinamento, risorse per
consulenze qualificate, rapporti con sedi universitarie
e di ricerca, un diverso tempo di lavoro).
Un ruolo importante potrà essere svolto dalle
associazioni degli insegnanti, oltre che daI ricco tessuto
associativo del nostro territorio, con la possibilità
di costruire un vero e proprio ambiente integrato per
l’apprendimento, l’autoformazione e il miglioramento
della professione docente ove mettere a confronto “buone
pratiche”, ma anche sviluppare un impegno etico
e democratico sui valori della scuola e della Costituzione.
1.5. IL PROTAGONISMO CULTURALE
DEGLI INSEGNANTI E DEL PERSONALE DELLA SCUOLA
Professionalità e responsabilità
docente
La trasformazione della scuola in senso
autonomistico presenta alcune caratteristiche che
influenzeranno sempre più la professionalità
dei docenti e di tutti gli operatori scolastici:
- la centralità del processo di insegnamento-apprendimento;
- la crescente importanza di una mediazione
culturale;
- l’emergere di nuove responsabilità,
funzioni, compiti (ad esempio, di tutoring);
- il bisogno di conciliare l’autonomia culturale
e professionale dei singoli con la collegialità
e la cooperazione (in gruppi di progetto e gruppi misti
di lavoro).
Lo sviluppo dell’autonomia scolastica,
con l’assunzione di maggiori responsabilità
da parte delle singole unità scolastiche nella
configurazione della propria offerta formativa (progettare,
gestire, valutare il curricolo), richiede un alto
livello di competenze per le diverse funzioni
professionali (i docenti, le figure “intermedie”,
il personale amministrativo, il dirigente
scolastico), in un’ottica fortemente integrata.
L’attivazione all’interno della
scuola (e nel rapporto con l’esterno) di una ricca
rete di relazioni, di responsabilità diffuse,
di funzioni di coordinamento costituisce un’importante
scelta organizzativa, poiché la presenza di momenti
di raccordo stabile, tra gruppi di lavoro e dipartimenti,
Dirigente scolastico, Collegio Docenti, contribuisce
ad aumentare il livello interno della comunicazione,
a migliorare l’efficacia delle azioni progettuali
e ad avviare forme di autovalutazione della scuola.
Importante è però Io “stile”
democratico con cui qualificare un ambiente
di relazioni e apprendimento, qual è la scuola.
Risultano determinanti il coinvolgimento, la partecipazione,
la motivazione, le competenze e la possibilità/capacità
di decidere di tutti i membri dell’organizzazione
scolastica e degli stessi studenti.
Una “buona” politica, anche
“locale”, per gli insegnanti deve saper
ascoltare, dotandosi degli opportuni strumenti, le loro
diverse esperienze e biografie (per stimolare l’idea
di uno sviluppo professionale continuo),
documentare gli eventi più significativi (per
rendere visibile un curriculum), prospettare forme di
verifica e valutazione dei percorsi formativi e autoformativi
(introducendo la pratica del port-folio delle competenze),
ipotizzare modelli di certificazione e valorizzazione
delle competenze acquisite (offrendo reali e convincenti
opportunità di crescita). Molto dipenderà
dalle scelte nazionali, ma una saggia politica “locale”
potrà incentivare la crescita professionale dei
docenti in un territorio (dai progetti di autoformazione,
alla fruizione di borse, assegni di studio e ricerca,
dalla presenza di servizi di supporto, ad una chiara
visibilità sociale dei docenti
nella vita culturale e civile del territorio).
La scuola è un ecosistema formativo,
in cui ci sono molti attori che, interagendo, determinano
la qualità dell’istruzione. Occorre assecondare
processi di riforma ecologici, con poche “grandi
opere”, ma con molti “piccoli gesti”
dalla parte di chi la scuola la vive tutti i giorni.
Non ci sono “buone riforme” a prova di insegnanti
“mediocri”. Ci possono essere invece “mediocri”
riforme salvate da “buoni” insegnanti.
Le reti di supporto all’autonomia
L’autonomia delle scuole si inserisce
in un processo di riforma dello Stato che vede nei principi
di sussidiarietà, di responsabilità,
di trasparenza e di efficacia dei risultati un modo
diverso di impostare i rapporti tra cittadini e pubbliche
amministrazioni.
Una serie di compiti, in materia di programmazione dell’offerta
formativa nel territorio (es.:
dimensionamento e dislocazione delle unità scolastiche),
di integrazione dei diversi sistemi formativi (es.:
istruzione e formazione professionale), di estensione
del diritto allo studio (es.: qualificazione dei servizi
di supporto all’integrazione scolastica, di contrasto
alla dispersione, di educazione permanente, ecc.) vengono
affidati alle Regioni e al sistema degli Enti
locali (Provincia e Comune).
In tal senso si esprime la legge regionale dell’Emilia-Romagna
di recepimento del D.Lvo 112/98 (Legge regionale n.
3/1999) e in particolare la Legge regionale n. 10/99
del 27-51999 (Diritto allo studio e all’apprendimento
per tutta la vita e qualificazione del sistema formativo
integrato), che ha come finalità quella di “incentivare
il coinvolgimento e la collaborazione fra enti
locali, istituzioni scolastiche statali e non
statali, uffici periferici dell’amministrazione
scolastica nell’elaborazione di obiettivi strategici
e nella realizzazione di progetti specifici”.
In questa prospettiva va promossa
una rete (e messa a sistema quella esistente) di servizi
per i professionisti della scuola. Valorizzarli significa
riconoscere il loro ruolo culturale e il loro sapere
per lo sviluppo della comunità, ma implica un
deciso investimento sull’innovazione in un’ottica
di integrazione (tra scuola, territorio, Provincia e
Regione, come delineato dallo specifico Protocollo di
intesa dell’8 maggio 2001). Si tratta di funzioni
di ricerca, formazione, documentazione, valutazione
che dovranno affiancare i più tradizionali servizi
di natura amministrativa (gestione del personale, risorse
finanziarie, consulenza giuridica) da dislocare sul
territorio, utilizzando anche le diverse “vocazioni”
delle scuole.
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2
LA REALTA'
FORMATIVA DEL COMPRENSORIO FAENTINO:
LE
DIMENSIONI DEL CONTESTO LOCALE E LE TRASFORMAZIONI IN ATTO
2.1. LE TRASFORMAZIONI IN ATTO
Faenza è una comunità territoriale
che in relazione al contesto socio-economico in cui è
collocata sta progressivamente riconfigurando le sue funzioni
di centro di connessioni urbanistiche e di
nodo di servizi alle persone e alle imprese di un’unità
territoriale decisamente sovracomunale.
In questo quadro di riferimento, che vedrà ulteriormente
rafforzarsi la struttura differenziata dei servizi dell’economia
locale, il sistema formativo acquista una particolare centralità,
principalmente per due motivi:
a. l’accentuata
caratterizzazione storica della città e del territorio
che si vede tuttora portatrice di saperi e di tradizioni produttive,
che si propongono come un originale capitale culturale da
valorizzare ulteriormente e sui cui investire risorse per
mantenere profili professionali elevati;
b. la necessità
di qualificare e valorizzare al massimo la risorsa umana presente
sulla realtà territoriale al fine di sostenere i processi
di innovazione nel sistema produttivo, tenuto
conto del restringimento sotto un profilo demografico delle
classi generazionali più giovani.
Le trasformazioni della struttura demografica
non sono irrilevanti per gli effetti che producono in primo
luogo sulla struttura dell’occupazione e della imprenditorialità
in agricoltura, tradizionalmente basata su unità
imprenditoriali piccole, incentrata sulla famiglia
coltivatrice; in secondo luogo sul ricambio generazionale
nel settore artigianale, manifatturiero e delle piccole imprese,
a cui fa seguito un più debole accesso di leve giovanili
nei settori innovativi del sistema produttivo; in terzo luogo
sulla struttura dell’occupazione nel terziario, che,
dopo aver consentito l’impiego a livelli soddisfacenti
anche di personale femminile, si trova ormai deficitaria nei
profili occupazionali bassi e medio bassi.
Di fronte ad un sistema occupazionale e professionale che
si apre inevitabilmente all’attrazione di flussi crescenti
di manodopera esterna (proveniente dalle
aree delle province del Mezzogiorno o da paesi esterni alla
UE), il sistema formativo locale è chiamato nel breve-medio
periodo a sviluppare performance di particolare rilevanza,
a cui per tanti aspetti non è forse ancora del tutto
attrezzato.
In particolare, si possono individuare alcuni
assi di riferimento generale rispetto ai quali condurre un’azione
di miglioramento e di implementazione delle prestazioni complessive
del sistema locale:
1. accrescimento della
funzione di accumulo e di distribuzione del capitale culturale
a livello territoriale,
con le conseguenti azioni volte a:
- favorire al massimo grado la socializzazione linguistica
e culturale dei soggetti provenienti da realtà
e culture "altre" (senza che ciò comporti
perdita delle originarie identità culturali);
- ridurre rapidamente la dispersione scolastica;
- sostenere i processi di eccellenza professionale del personale
docente, tecnico e di gestione delle risorse del sistema;
- introdurre percorsi di raccordo e di accompagnamento dei
giovani dopo il conseguimento delle abilità e delle
competenze occupazionali per costruire profili
di professionalità tecniche e operative, per facilitare
iniziative di costruzione di impresa (attraverso
incubatori appositi), per estendere le opportunità
di accesso all’istruzione universitaria e post universitaria;
2. sviluppo di funzioni
integrate di governo dei diversi livelli del sistema formativo
locale, attraverso:
- il completamento degli istituti comprensivi
dell’offerta scolastica corrispondente all’obbligo
scolastico, anche attraverso il riassetto funzionale di unità
scolastiche adeguate sotto il profilo edilizio, delle tecnologie
didattiche, della fruizione delle opportunità formative
lungo tutto l’arco della giornata, da parte di tutte
le classi di età della popolazione (nella logica dell’attuazione
di azioni per l’educazione per tutto l’arco
della vita);
- il più stretto coordinamento tra i segmenti di organizzazione
scolastica direttamente finalizzati alla costruzione di profili
occupazionali e professionali corrispondenti ai fabbisogni
del sistema economico locale in un’accezione di area
vasta, interagente con gli altri sistemi economici settoriali
e territoriali;
- la costruzione di una immagine integrata
del sistema formativo soprattutto nella fascia della istruzione
secondaria superiore, in modo tale da corrispondere ad una
domanda di informazione da parte delle famiglie e degli utenti
interessati (giovani, ma anche non giovani) che sia distribuita,
accessibile anche da sedi diverse, fruibile per facilità
di linguaggi e modalità comunicative;
3. sviluppo diffusivo
delle funzioni di orientamento e di scambio
tra i diversi nodi organizzativi e gestionali del sistema
formativo e i diversi centri decisionali e organizzativi che
a livello locale e territoriale concernono:
- lo sviluppo del sistema produttivo locale, con riferimento
alle dinamiche a breve proprie dei diversi settori economici;
- la gestione e la valorizzazione delle istituzioni
culturali locali, sia a livello generale (le biblioteche
e i musei delle comunità locali) che le istituzioni
specialistiche (ad esempio musei tematici, ecc.);
- la valorizzazione delle sedi della ricerca scientifica
e tecnologica, sia a livello pubblico che privato
(si può fare riferimento alle presenze nella realtà
locale di centri attrezzati di ricerca CNR ed Enea, Poli specializzati
in agricoltura);
- la costruzione di percorsi di orientamento
e di ingresso nei Corsi di studio universitari disponibili
a livello territoriale su scala locale, subregionale e regionale.
2.2. LE OPPORTUNITA’ EDUCATIVE NEL
TERRITORIO
Faenza e il suo territorio presentano una
particolare concentrazione di qualificazioni e tecnologie
sia nei settori tradizionali che in quelli avanzati delle
attività produttive, capaci di conseguire più
avanzati livelli di sviluppo economico e sociale.
Si potrebbero a tale proposito indicare alcuni settori di
particolare rilevanza:
- quello agro industriale (nel settore della
frutta fresca e delle conserve vegetali e della enologia,
con particolare attenzione ai prodotti tipici e di nicchia)
che ha favorito da un lato la realizzazione e la crescita
di realtà aziendali ormai presenti nei mercati europei
e non solo, e dall’altro un insieme di opportunità
rilevanti per lo sviluppo di nuove qualificazioni professionali
in un settore per lungo tempo a torto ritenuto residuale;
- il settore dei nuovi materiali, comprensivo della ceramica
artistica e industriale e del design, attraverso il quale
la denominazione di Faenza città delle ceramiche ha
riacquisito un suo preciso significato e un suo preciso valore
per lo sviluppo di azioni di marketing
territoriale;
- il settore delle nuove tecnologie (dall’automazione
industriale all’information Technology), nel cui ambito
si sono formate vere e proprie imprese di eccellenza capaci
di operare sul mercato mondiale, evidenziando in questo modo
la grande rilevanza che può assumere anche sotto il
profilo educativo e orientativo la internazionalizzazione
delle imprese.
- Il settore dell’economia dei servizi,
con particolare riferimento ai servizi alle imprese, con una
recente affermazione della logistica legata ai trasporti e
dalla distribuzione commerciale; senza con ciò dimenticare
le innovazioni significative nella riorganizzazione delle
reti commerciali sia all’interno che all’esterno
dei centri storici.
La presenza di tali opportunità va certamente
fatta oggetto di un’analisi continua, anche da parte
degli istituti scolastici del territorio, con una specifica
attenzione da un lato alle ricadute occupazionali indotte
dalla dinamica economica, e dall’altro, alla formazione
e all’evoluzione dei profili professionali
che proprio le nuove tecnologie inducono in ogni settore occupazionale
e professionale.
Finora ciò che si è a più riprese realizzato,
ma che ha lasciato tuttavia margini elevati di insoddisfazione,
è il rapporto tra scuola e mercato del lavoro.
Le scelte compiute da singole scuole, gli accordi di partenariato
“a due” sono state finora l’asse portante
di un sistema di relazioni che però fatica a diventare
sistema e a promuovere ricerca diffusa e valore aggiunto.
2.3. LO STATO DI FATTO: LE DIMENSIONI DEL
SISTEMA FORMATIVO LOCALE
Per dare risposta agli interrogativi sopra manifestati
in ordine alla valorizzazione del grande potenziale educativo
e professionalizzante presente nell’area del comprensorio
faentino, occorre acquisire un preciso quadro descrittivo
delle tendenze in atto nei settori che direttamente interessano
le diverse realtà scolastiche; e ciò anche al
fine di valutare nel suo complesso la performance del sistema
educativo nella realtà locale. Si prenderanno perciò
in considerazione alcuni aspetti di particolare rilievo a
cui sono legati alcuni indicatori di carattere quantitativo
e statistico.
La scolarizzazione e i tassi di passaggio
fra i diversi gradi di scuole
A) La scolarizzazione
Il processo di scolarizzazione della popolazione giovanile
è decisamente in ascesa, soprattutto con l’incremento
dei giovani che giungono al diploma di scuola secondaria
superiore.
Occorre però notare un piccolo segnale d’allarme:
cresce il tasso di analfabetismo!
Ma anche un segnale di soddisfazione: crescono i laureati
daI 4 aI quasi 7%.
Tab. 1 - Popolazione residente
a Faenza per grado di istruzione al Censimento 1991 e
2001 |
Titolo di studio |
1991 |
2001 |
Analfabeta |
1, 25% |
1, 27% |
Nessun titolo, ma sa leggere e scrivere |
14,39% |
10,37% |
Licenza elementare |
31,60% |
25,94% |
Licenza di scuola media inferiore |
26, 00% |
26, 35% |
Diploma di scuola media secondaria superiore |
22,13% |
29,08% |
Laurea |
4,64% |
6,99% |
TOTALE |
100% |
100% |
Fonte:
Elaborazione dati censimento 1991 e 2001.
Nota:
Le tabelle che compaiono nel presente capitolo sono integrate
da altri riferimenti statistici, riportati nell’allegato
3.
B) Passaggi dalla Scuola Media Inferiore
alla Scuola Media_Superiore e all’Università
Un altro aspetto rilevante della scolarizzazione nel territorio
comprensoriale è rappresentato dall’andamento
progressivamente crescente di giovani che passano dalla media
alla superiore. Neanche il 2% resta
fuori da questa importante transizione (ved. la tabella 6
nell'allegato 3).
Il fenomeno si ripete anche per quanto concerne il passaggio
dalle scuole superiori all’Università,
nell’ambito del quale se gli studenti che escono dai
licei proseguono quasi naturalmente il percorso universitario,
una quota crescente di diplomati degli istituti tecnici e
professionali segue il medesimo percorso.
Gli sbocchi occupazionali
L’andamento degli sbocchi occupazionali
dopo il diploma rappresenta un altro significativo indicatore
del rapporto che si viene a stabilire tra attività
educativa e mercati locali del lavoro. Nell’area comprensoriale
faentina si può osservare (ved. tabelle 8a e 8b nell'
allegato 3) una buona connessione tra i sistemi formativo
e occupazionale, con una tendenza all’aumento dei giovani
occupati stabilmente, ma anche degli occupati in un’attività
lavorativa instabile, provvisoria,
in definitiva precaria (il 18,9% dei giovani intervistati
in apposite indagini provinciali). Ovviamente il fenomeno
coinvolge maggiormente i diplomati provenienti dagli istituti
tecnici e professionali (tra i quali si notano gli istituti
tecnici e professionali del settore agricolo con i valori
più bassi).
(ved. tabella 8c nell'allegato
3)
Occorre prestare una particolare attenzione alle fasi di vita
adolescenziale, dove i ragazzi maturano atteggiamenti che
poi li porteranno ad uscire anticipatamente dalla scuola.
Recenti indagini condotte tra gli studenti della terza media
delle scuole del comprensorio faentino rivelano una forte
e crescente incertezza nei confronti del proseguimento della
carriera scolastica con un orientamento in crescita ad abbandonare
la scuola.
Tab. 2 - Decisione di
smettere di studiare (intervista effettuata sugli studenti
prima del termine della 3a media) 1992/93 |
|
1992/93 |
1993/94 |
1994/95 |
1996/97 |
1997/98 |
1998/99 |
2000/01 |
|
N. |
% |
N. |
% |
N. |
% |
N. |
% |
N. |
% |
N. |
% |
N. |
% |
Sì |
53 |
7,18 |
40 |
5,41 |
34 |
4,85 |
29 |
4,26 |
31 |
5,38 |
19 |
3,06 |
37 |
5,45 |
No |
632 |
85,64 |
662 |
89,46 |
620 |
88,45 |
604 |
88,69 |
498 |
86,46 |
570 |
91,94 |
523 |
77,03 |
Non sa |
48 |
6,50 |
25 |
3,38 |
31 |
4,42 |
42 |
6,17 |
37 |
6,42 |
25 |
4,03 |
50 |
7,36 |
Non risponde |
5 |
0,68 |
13 |
1,76 |
16 |
2,28 |
6 |
0,88 |
10 |
1,74 |
6 |
0,94 |
69 |
10,16 |
Totale |
738 |
100 |
740 |
100 |
701 |
100 |
681 |
100 |
576 |
100 |
620 |
100 |
679 |
100 |
Fonte:
Indagini sulle scelte scolastiche e lavorative degli adolescenti
dopo la terza media, anni scolastici 1992/93 -1993/94 - 1994/95;
in E.
Minardi - C. Zannoni, La dispersione del capitale culturale
nel sistema scolastico faentino, 2000.
La qualità della formazione e
i deficit di processo
La formazione ha sempre più bisogno di
qualità; qualità del lavoro degli insegnanti,
qualità degli ambienti educativi, qualità degli
strumenti didattici, qualità degli esiti scolastici.
E’ difficile tuttavia misurare la qualità e può
sembrare riduttivo tentare di valutarla attraverso gli indicatori
dei risultati finali del processo di apprendimento dei ragazzi
e dei giovani. Tali dati possono essere tuttavia efficaci
per offrire una valutazione di sintesi della situazione.
Tab. 3 - Candidati, diplomati, bocciati
della provincia di Ravenna all’esame di stato 2002
|
|
Candidati |
Diplomati |
Bocciati |
% |
Bocciati |
Promossi |
Voto
da 91 a 100 |
Distretto di Faenza |
625 |
616 |
9 |
1,44 % |
98,56 % |
25,32 % |
Distretto di Lugo |
404 |
394 |
10 |
2,48 % |
97,52 % |
27,92 % |
Distretto di Ravenna |
898 |
879 |
19 |
2,12% |
97,88 % |
22,41 % |
Totale |
1.927 |
1.889 |
38 |
1,97% |
98,03% |
24,51% |
Fonte:
Elaborazione dati del Provveditorato agli Studi di Ravenna,
2002.
Le scuole del comprensorio faentino sembrano presentare
dati in ascesa per quanto concerne la capacità del
lavoro scolastico di raggiungere valori
positivi nella valutazione dei processi di apprendimento.
Se i dati sui bocciati hanno un andamento discontinuo, è
in diminuzione il numero dei giovani ritirati dalla scuola
(ved. tabelle10a e 10b nell'allegato
3)e quindi la percentuale dei giovani ritirati
e respinti dalle istituzioni scolastiche. Alcune differenze
si possono ovviamente riscontrare tra i diversi tipi di percorsi
di istruzione: l’andamento è meno favorevole
negli istituti di istruzione professionale e tecnica, più
positivo nei percorsi liceali.
Permangono poi difficoltà non irrilevanti nel primo
e nel secondo anno delle scuole superiori, durante
i quali avvengono i più significativi fenomeni sia
di variazione delle scelte scolastiche (passaggi da un percorso
ad un altro dell’istruzione e, in termini più
ridotti, della formazione professionale) che degli abbandoni
scolastici veri e propri (ved. tabelle 10b
e 10c nell'allegato 3).
Anche in questo caso le difficoltà maggiori si rivelano
negli istituti di istruzione professionale e tecnica, mentre
il fenomeno degli abbandoni sembra più contenuto nei
licei.
Si tratta evidentemente di un ambito dove
si generano problemi di inserimento
sociale e lavorativo dei giovani che
manifestano problemi di rapporto con la realtà scolastica;
problemi che meritano precise strategie correlate di risposta
da parte del sistema formativo scolastico e dal sistema della
formazione professionale. Da ciò l’urgenza di
un salto di qualità in proposito nel comprensorio faentino.
Tab. 4 –
DISTRIBUZIONE DEGLI ISCRITTI E DISPERSIONE SCOLASTICA
NELLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI RAVENNA
NEGLI ANNI SCOLASTICI 1998/99 - 1999/2000 - 2000/2001 |
|
ISTITUTI
PROFES-
SIONALI |
IST. TEC.
COMM.
GEOMETRI |
LICEO CLAS.
SCIENT.
IST. MAG. |
IST. TECN.
INDUSTR. |
ISTR.
ARTISTICA |
TOTALE |
ALUNNI
ISCRITTI |
A.S. 1988/1999
A.S. 1999/2000
A.S. 2000/2001
|
3.370
3.281
3.673
|
2.447
2.433
2.314
|
3.259
3.274
3.371
|
1.496
1.291
1.367 |
824
803
754 |
11.396
11.082
11.479 |
BOCCIATI
A FINE ANNO |
A.S. 1988/1999
% sul totale iscritti
|
373
11,07 %
|
276
11,28 %
|
134
4,11 %
|
194
12,97 %
|
46
5,58 %
|
1.023
8,98 % |
A.S. 1999/2000
% sul totale iscritti
|
368
11,22 % |
229
9,41 % |
80
11,28 % |
272
21,07 %
|
22
2,74 %
|
971
8,76 % |
A.S. 2000/2001
% sul totale iscritti
|
502
13,67 %
|
194
8,38 %
|
81
2,40 %
|
135
9,88 %
|
67
8,89 %
|
979
8,53 % |
ABBANDONI |
A.S. 1988/1999
% sul totale iscritti
|
134
3,98 %
|
91
3,72 %
|
36
1,10 %
|
55
3,68 %
|
26
3,16 %
|
342
3,00 % |
A.S. 1999/2000
% sul totale iscritti |
119
3,63 %
|
58
2,38 %
|
30
0,92 %
|
49
21,07 %
|
15
2,74 %
|
271
2,45 % |
A.S. 2000/2001
% sul totale iscritt |
147
4,00 %
|
69
2,98 %
|
24
0,71 %
|
10
0,73 %
|
23
3,05 %
|
273
2,38 % |
RITARDO
NEL PERCORSO |
A.S. 1988/1999
% sul totale iscritti |
351
10,42 %
|
302
12,34 %
|
120
3,68 %
|
254
16,98 %
|
94
11,41 %
|
1.121
9,84 % |
A.S. 1999/2000
% sul totale iscritti |
525
16,00 %
|
389
15,99 %
|
106
3,24 %
|
243
18,82 %
|
8
1,00 %
|
1.271
11,47 % |
A.S. 2000/2001
% sul totale iscritt |
490
13,34 %
|
284
12,27 %
|
111
3,29 %
|
60
4,39 %
|
94
12,47 %
|
1.039
9,05 % |
Fonte:
Elaborazione dati del Provveditorato agli Studi di Ravenna,
2002.
L’inserimento dei ragazzi disabili e
la qualità dell’integrazione
L’integrazione scolastica nelle Scuole
dei Comuni del Comprensorio faentino è un dato consolidato.
La presenza di bambini e ragazzi disabili ha un andamento
pressoché analogo o leggermente inferiore a quello
degli altri Comprensori della Provincia (Lugo e Ravenna).
Un dato comune all’intero processo nazionale di integrazione
scolastica degli alunni disabili è l’aumento
delle situazioni di “handicap”
con il progredire degli studi.
Tab. 5 - Presenza di bambini
e ragazzi disabili nelle scuole del
Comprensorio faentino - Anno Scolastico 2002/03 |
|
Scuole Secondarie
e pariflcate
di 2° grado |
Scuole Secondarie
e pariflcate
di 1° grado |
Scuole
Elementari
statali e
parificate |
Scuole
dell’Infanzia
statal |
Popolazione
scolastica |
3.179 |
1.868 |
2.978 |
1.298 |
Alunni disabili |
92 |
53 |
56 |
15 |
% alunni disabili
sul totale |
2,47% |
2,84% |
1,88% |
1,16% |
% alunni disabili
nella provincia |
1,9% |
2,9% |
2,5% |
1,3% |
I bambini/ragazzi disabili inseriti nelle Scuole
sono tutelati dal sistema di diritti assicurati dalla Legge
104/92 e dalle risorse di personale previste nelle annuali
Leggi. L’assegnazione dei docenti “di sostegno”
sta subendo un trend negativo, supportato al momento dalla
forte rete di investimenti delle amministrazioni
locali del comprensorio faentino (interventi di assistenza
di base e specialistica).
Tuttavia questa situazione non può essere guardata
solo con occhio critico. Occorre, nell’ambito dei piani
di zona previsti dalla Legge Turco del 2000, dare continuità
al Tavolo di concertazione già attivato nel 2002 tra
C.S.A., Enti locali, scuole e ASL, per raccordare le risorse
umane e professionali (insegnanti, educatori, assistenti,
tutor e volontari) capaci di realizzare quel “progetto
di vita” a cui hanno diritto tutti, ed in particolare
i ragazzi con disabilità.
Gli alunni stranieri: uno scenario nuovo
Nelle Scuole del comprensorio faentino sono presenti
342 alunni stranieri provenienti da ben 54 paesi. Diversi
bambini, con genitori stranieri, sono nati nel nostro territorio
e vivono una condizione di cittadinanza, di cultura e di bilinguismo
del tutto nuova. Secondo le fonti del C.S.A. relative all’anno
2002/03 i ragazzi stranieri provengono in maggioranza da questi
Paesi (sono calcolati tutti gli ordini di scuola della Città
di Faenza):
Marocco |
109 ragazzi |
Albania |
71 ragazzi |
Tunisia |
14 ragazzi |
Romania |
13 ragazzi |
Yugoslavia (ex) |
13 ragazzi |
Ucraina |
11 ragazzi |
Questi numeri sono significativi per capire la
vecchia e la nuova immigrazione: la
prima proveniente dai Paesi magrebini e la seconda proveniente
dai Paesi dell’Est europeo. Sono dati tuttavia destinati
a modificarsi ogni giorno sulla scorta dei nuovi arrivi (non
ultimi dall'Argentina) e con movimenti per lo più interni
al nostro Paese.
Si riscontrano pochissimi rientri nel Paese d’origine.
Da un punto di vista statistico la presenza di bambini/ragazzi
stranieri nelle Scuole del nostro territorio è la seguente
(si tratta di una presenza in alcuni casi sensibilmente inferiore
a quella dei territori di Lugo e Ravenna):
Scuola dell’infanzia |
84 |
5,53% |
Scuola elementare |
167 |
6,7% |
Scuola secondaria di 1° grado |
48 |
5,5% |
Scuola secondaria di 2° grado |
43 |
2,5% |
Totale |
342 |
|
Fonte:
Elaborazione dati C.S.A di Ravenna.
Il nostro territorio agevola la presenza
dei ragazzi stranieri nelle scuole con un servizio di Mediatori
Culturali (per Faenza presso il Centro per le Famiglie).
Dall’anno scolastico 2002/03 sono stati dismessi dal
C.S.A., per il taglio di risorse, tutti i progetti di intervento
educativo e didattico, in atto da diversi anni, in tutte le
Scuole elementari statali della Provincia di Ravenna, pur
in presenza di dati in crescita e con situazioni sempre più
problematiche. |
3
I PROGETTI
STRATEGICI:
CONTRIBUTI
PER LO SVILUPPO DEL SISTEMA EDUCATIVO LOCALE
3.1. L’EVOLUZIONE TERRITORIALE
DEL SISTEMA SCOLASTICO LOCALE
La territorialità delle strutture
La nuova complessità sociale rende inadeguati
molti modelli politici, culturali e tecnici utilizzati finora
per regolare l’evoluzione dei rapporti fra formazione
e territorio. Il cambiamento in atto investe contemporaneamente
il campo delle relazioni sociali, i rapporti fra i fenomeni
dello sviluppo urbano, il territorio e l’ambiente complessivo.
Una Città è tale se sa predisporre il suo territorio
come contesto organizzato e risorsa:
- per la produzione e Io sviluppo economico;
- per la vita sociale;
- per l’innovazione e lo sviluppo culturale.
I sistemi urbani del futuro deriveranno la loro
forza dall’essere dinamici e "sensibili”
ai cambiamenti dei meccanismi economici e produttivi, dal
possedere dei livelli di eccellenza in più settori
di attività e infine dall’essere ben organizzati
e collocati in un territorio di buona
qualità ambientale, buon funzionamento dei servizi,
buona accessibilità.
Un sistema urbano, una città devono garantire, sul
piano sociale e culturale, opportunità e risorse di
servizi per i bambini, i giovani, gli
adulti e gli anziani di facile accesso.
Il dimensionamento delle strutture per
un’azione educativa efficace
La dimensione territoriale agisce diversamente
nel più ampio comprensorio faentino e nell’area
urbana di Faenza. Per capire l’esistente e progettare
il futuro, Faenza deve essere guardata attraverso la geografia
dei quartieri, delle Circoscrizioni. Se una grande
Circoscrizione o un quadrato della città si
priva per troppo tempo di servizi e opportunità
specifiche per i bambini, i giovani, gli adulti e gli
anziani, costringendo le persone a continue migrazioni all’interno
degli altri quadrati della Città si pone nella condizione
di uno sviluppo disarmonico e non equilibrato, che andrà
a incidere complessivamente sulla buona qualità della
vita in quel quartiere e nell’intera Città.
L’idea di guardare alla geografia della città
di Faenza per quadrati segnati da linee di confine naturali
o antropici o per i territori delle circoscrizioni ci aiuta
a definire meglio la riorganizzazione
di servizi, risorse e opportunità per i bambini
e i ragazzi dai 3 ai 14 anni...
Ripensare la funzionalità della
Scuola di base faentina collocandola all’interno
di un territorio (o quadrato di servizi) della Città
è un’operazione impegnativa per le stesse Scuole,
che in parte hanno già avviato quest’opera (con
l’organizzazione di due Istituti Comprensivi), ma soprattutto
per la Città e la sua Amministrazione.
L’edilizia scolastica: un ambiente
per l’apprendimento
Il bisogno di qualificare sempre di più
la scuola porta inevitabilmente ad un uso
organico e funzionale dell’edilizia scolastica.
Lo spazio e gli spazi a disposizione per l’apprendimento
e per la vita di relazione non sono affatto indifferenti,
ma diventano condizione necessaria per una scuola che voglia
definirsi di qualità.
La vicinanza o la contiguità degli edifici sono condizioni
che facilitano e favoriscono le scelte di continuità
didattica e organizzativa, perciò il modello degli
Istituti comprensivi per la Scuola
di base (la scuola dell’infanzia, la scuola elementare
e la scuola media) sembra al momento il più convincente
proprio perché rispettoso della necessità formativa
di un ciclo didattico unitario,
che troviamo rappresentato compiutamente nella riforma Berlinguer
e ripreso anche dalla riforma Moratti, capace di rilanciare
e potenziare il discorso culturale sulla qualità della
Scuola e sull’innovazione educativa, didattica e organizzativa
dei curricoli.
La messa in rete, il monitoraggio e l’interpretazione
costante dei dati disponibili
I territori sono sedi diffuse di istituzioni e
organizzazioni collegate tra loro o già inserite in
reti. Si tratta di reti “virtuali”,
che non sempre si realizzano come reti
“sociali”. Le Scuole e le Istituzioni educative
di uno stesso territorio sono chiamate a costituire sia l’una
che l’altra per poter promuovere politiche formative
significative e diffuse e superare tutte le criticità,
che sono tipiche delle sole reti “virtuali" (informatiche
e non). Gli obiettivi di maggior collaborazione, anche per
prevenire ridondanze operative o ridurre le carenze qualitative
e quantitative di programmi d’azione isolati e contribuire
a costruire una “cultura comune
del servizio”, potrebbero essere raggiunti attivando
reti fra Scuole (e fra Scuole e Istituzioni),
riconoscibili per la qualità e la produttività
dei servizi promossi.
3.2. IL VALORE AGGIUNTO CHE OFFRE
UNA “CITTA’ PER L’INNOVAZIONE”
Accrescere e valorizzare il “valore
aggiunto” della città
La città di Faenza è sede di prestigiosi
Istituti e istituzioni culturali, che in sé e per sé
sono punto di riferimento per molti cittadini e per molti
studiosi. Essi costituiscono un fondamentale deposito di capitale
culturale che la città e il territorio hanno
il dovere di valorizzare e di riprodurre, a cominciare dal
sistema formativo. Esso deve imparare ad interagire significativamente
con la particolare e del tutto eccezionale concentrazione
di saperi, intelligenze e tecnologie che a Faenza si
è realizzata, quasi a seguito di una programmazione
ideale, in settori di crescente rilevanza strategica quale
quello dei nuovi materiali, nell’ambito delle nuove
tecnologie e dell’industria più avanzata.
Non solo quindi le amministrazioni locali e le strutture della
ricerca scientifica e tecnologica, ma anche il sistema formativo
(scolastico e non) è direttamente coinvolto in un forte
disegno di sviluppo di tale capitale culturale.
La cultura della ricerca, della sperimentazione,
dell’innovazione
Può Faenza essere città dell’innovazione
nel campo della formazione con attenzione a tale capitale
culturale? Cosa significa essere città
dell’innovazione o fare innovazione? Qual è
il rapporto fra sapere diffuso e cultura dell’innovazione
nelle nostre scuole, fra bisogni della città e formazione
in atto negli istituti scolastici?
Per rispondere a queste domande occorre rinnovare costantemente
la conoscenza delle caratteristiche del territorio faentino,
delle sue imprese, del suo patrimonio di professionalità
e di risorse formative, ai fini di valutare le performance
dello sviluppo economico e la qualità del tessuto sociale
e culturale.
La scuola, in particolare quella superiore, non può
separarsi da un sapere e da una formazione orientati alla
diffusione della cultura del lavoro
e alla tenuta e allo sviluppo democratico
della società.
Si è ormai consapevoli che per rispondere a tali interrogativi
occorre intraprendere un percorso di forte e significativa
progettualità da condursi non in chiave localistica,
ma su scala decisamente più ampia. La presenza a Faenza
di istituti nazionali di ricerca e di un Parco scientifico
tecnologico che ormai si è aperto (con la costituzione
di Centuria RIT) verso una dimensione di area vasta romagnola,
costituiscono una premessa fondamentale, verso cui non solo
le politiche economiche locali, ma anche quelle formative
e scolastiche devono decisamente orientarsi.
Nel ridisegnare i profili curricolari dell’istruzione
superiore tecnica, ma anche umanistica, occorre prestare una
particolare attenzione al quadro economico, imprenditoriale,
logistico e tecnologico del territorio comprensoriale.
Rispetto a queste dimensioni è necessario intensificare
le interazioni tra centri locali
di istruzione e di formazione
e strutture di ricerca e di sviluppo
per adottare prassi di integrazione e di concertazione dei
progetti, e per dotare il territorio di nuove consapevolezze
e nuove competenze professionali (gli IFTS realizzati e in
corso di realizzazione possono costituire un esempio). Per
questo è utile dare continuità e uno sviluppo
articolato al «Tavolo scientifico” istituito per
organizzare il calendario di eventi denominato «Settimana
della Cultura scientifica e tecnologica”.
Nel rapporto fra Scuola e mondo del lavoro le scelte individuali,
a volte di nicchia, gli accordi di partenariato “a due”
sono stati finora strumenti deboli e parziali (anche se utili)
di un sistema di relazioni che fatica a diventare sistema
e a promuovere “ricerca diffusa” e “valore
aggiunto”.
La “politica” e la stessa “scuola”
non sono riusciti - al momento - a portare avanti mediazioni
e progetti per sostenere una cultura del lavoro, che non separi
l’istruzione dalla formazione
(professionale). Una riflessione meriterebbero per esempio
i percorsi didattici integrati tra
Scuola e formazione professionale, per verificarne criticità
e punti di forza. Una maggior conoscenza e visibilità
meriterebbero i progetti di autoimprenditorialità e/o
di simulazione di impresa, come ad esempio gli European Business
Games.
La cultura del lavoro: progettazione
partecipata fra mondo della scuola e mondo della formazione
professionale
Nel quadro della recente normativa nazionale afferente
ai sistemi dell’istruzione e della formazione professionale,
il punto segnato dall’art.
68 della legge 144/99 a favore dell’introduzione
nel nostro Paese dell' obbligo formativo
fino a 18 anni non sembra essere in discussione. L’articolo
citato produce forte innovazione a favore dell’innalzamento
del livello formativo di tutti i cittadini, da raggiungere
attraverso le diverse modalità previste dalla legge
(nell’istruzione, nella formazione professionale, nei
percorsi integrati fra istruzione e formazione, nell’apprendistato)
e la sua applicazione diventa il banco di prova delle strategie
regionali finalizzate a garantire un’offerta formativa
adeguata alle esigenze degli utenti.
Il sistema educativo regionale è composto
da due sottosistemi (istruzione e formazione),
distinti e integrabili fra loro: ambedue concorrono alla crescita
della persona, culturale e professionale, allo sviluppo sociale
ed economico della nostra Regione e dell’intero Paese.
Pur nella fluidità dell’attuale fase (disegno
di legge delega al Governo per la definizione delle norme
generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale
- progetto di legge regionale in materia di istruzione, formazione
transizione al lavoro) è senza dubbio nodo vitale e
strategico il segmento dell’OBBLIGO FORMATIVO. In esso
occorre comprendere:
- i percorsi per l’assolvimento dell’ultimo
anno (eventualmente, in senso esteso, anche
ultimo biennio) di obbligo scolastico
in forma integrata tra istruzione e formazione professionale;
- i percorsi per l’assolvimento dell’obbligo
di formazione nel canale della formazione
professionale;
- i percorsi per l’assolvimento dell’obbligo di
formazione con modalità integrate
tra formazione e istruzione;
- i percorsi successivi al conseguimento della qualifica e,
quindi, all’assolvimento dell’obbligo nella formazione
o istruzione professionale, ma utili al potenziamento del
bagaglio culturale e/o professionale dei giovani per il rientro
nel canale dell’istruzione (in particolare alle ultime
due annualità) o l’accesso al mercato del lavoro.
Anche nella nostra città sono state avviate
esperienze di integrazione fra i due sottosistemi ed è
opportuno interrogarsi sulla loro efficacia.
I soggetti dei due sottosistemi possono mettere
in comune l’originale contributo ricavato dalle eccellenze
delle proprie esperienze didattiche per ridefinire i paradigmi
pedagogici, i contenuti, le metodologie, l’articolazione
organizzativa, al fine, da un lato, di affermare il diritto
di tutti all’istruzione, dall’altro, di dar vita
ad un’offerta formativa di alto profilo, coerente con
i fabbisogni rilevabili nel territorio.
La Regione, anche con le risorse messe a disposizione dalla
Comunità Europea, promuove l’integrazione fra
i sottosistemi a tutti i livelli: non solo per l’ingresso
al lavoro con professionalità medio-bassa (obbligo
formativo); fino al diploma, specie per gli indirizzi tecnici;
dopo il diploma (IFTS), con l’Università durante
il percorso o alla sua conclusione, con i MASTER di I°
e II° livello e quindi per professionalità medio-alte.
Anche nella nostra città, negli ultimi anni, sono stati
attivati (uno è in corso di svolgimento) in collaborazione
tra IPSIA, Ente di Formazione Professionale, Università,
Aziende, due IFTS; da anni i nostri licei partecipano alle
Olimpiadi della matematica e della fisica, altri Istituti
Superiori a Programmi Europei (Leonardo, Socrates, Comenius),
all’European Busìness Game: il laboratorio teatrale
è stato per anni un impegno integrativo a quello di
studio.
Occorre chiedersi quanto queste esperienze incidano
sulla motivazione all’apprendimento e in che modo entrino
a far parte organica del curricolo.
Il rapporto con il mondo del lavoro non può essere
solo episodico e deve diventare una prospettiva a cui rapportare
anche il percorso di studio/apprendimento, ma servono risorse
per aumentare l’efficacia culturale e professionale
dell’integrazione.
La cultura dell’inclusione come
etica professionale e istituzionale: la qualità dell’integrazione,
le buone prassi educative
L’integrazione scolastica degli alunni disabili
è prima di tutto un fatto di civiltà, che contraddistingue
in senso positivo il nostro Paese e in particolare la nostra
Regione e il nostro Comprensorio e si accompagna a diffuse
pratiche educative di qualità. Una scuola accogliente,
che si prende cura delle persone disabili, è prassi
professionale comune e indice di una scuola che opera per
includere e non per escludere.
A dieci anni dall’entrata in vigore della legge
104/92 è giunto il tempo di approfondire la cultura
e la qualità dell’integrazione, i processi e
i risultati raggiunti, con la consapevolezza di essere di
fronte ad una scelta irreversibile, di civiltà ed equità
sociale che contraddistingue il nostro Paese a livello europeo.
La valutazione di qualità, che ha un suo significato
se avviene a livello almeno provinciale, potrebbe/dovrebbe,
secondo un sistema di indicatori applicabile a variabili organizzative,
di processo e di prodotto, valutare:
- l’adeguatezza delle risorse a disposizione;
- l’efficienza organizzativa e l’integrazione
funzionale degli interventi realizzati;
- l’efficacia dei risultati raggiunti.
3.3. MIGLIORARE LE STRUTTURE Dl SUPPORTO
A proposito dei luoghi in cui definire le politiche
di sviluppo del sistema formativo (diritto allo studio, integrazione
dei sistemi, dislocazione di strutture e servizi), la nostra
provincia ha realizzato un deciso passo in avanti con l’Accordo
di Programma sottoscritto dall’ Amministrazione
provinciale, dall’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia-Romagna,
dai Comuni della Provincia e dalle Istituzioni Scolastiche
statali e paritarie. Con questo Accordo sono stati definiti
i luoghi (la Conferenza Unificata, il comitato esecutivo e
il gruppo tecnico di lavoro), le strutture di supporto (l’Osservatorio
provinciale delle politiche scolastiche e della formazione,
i Centri Risorse) e le risorse
professionali, finanziarie e logistiche da predisporre per
raggiungere le finalità definite dall’Accordo
stesso. Tale Accordo non esclude la possibilità che,
a livello locale, siano attuate le possibili e necessarie
articolazioni funzionali, che
il nostro territorio vorrà definire nei diversi settori
di lavoro e attività, per offrire risorse di natura
tecnica (documentazione, informazione, aggiornamento, ricerca,
consulenza) sia in forma di prodotti diretti agli operatori,
sia in forma di “smistamento” e “interfaccia”
tra domanda e offerta di consulenza, supporto, sostegno. La
struttura di supporto dovrebbe agevolare la comunicazione
tra i numerosi soggetti (pubblici e privati) che ai vari livelli
sono impegnati in azioni di sostegno alle scuole dell’autonomia
(Enti locali, amministrazione scolastica, Università,
Irre, Associazioni professionali e di categoria, reti e scuole-polo),
per garantire la sinergia delle diverse azioni.
Un esempio: il Centro di Documentazione e
integrazione dell’handicap
Il Centro di Documentazione e integrazione dell’handicap
e dello svantaggio, sorto a Faenza nel 1997, è stato
individuato dall’Accordo di Programma quale Centro Risorse
a valenza provinciale a supporto dell’autonomia scolastica
delle singole Istituzioni scolastiche con vocazione specifica
(l’handicap e lo svantaggio), con l’obiettivo
di perseguire le seguenti finalità:
- promuovere e assistere lo sviluppo delle istituzioni
scolastiche autonome garantendo la disponibilità dì
competenze professionali, servizi e risorse di supporto allo
sviluppo della qualità dell’integrazione;
- operare per un riequilibrio del sistema scolastico territoriale
in una logica di perequazione verso l’alto
degli standard dei servizi degli istituti;
- documentare e diffondere la conoscenza di “buone
pratiche educative” all’interno di un più
ampio progetto di formazione, diffusione e potenziamento della
cultura dell’integrazione.
Verso le reti di scuole
Oltre ai Centri Risorse e alle diverse articolazioni
funzionali a carattere locale, un’ottica prioritaria
dovrebbe essere rivolta a favorire le reti
tra scuole (art.
7 del DPR 8-3-1999, n. 275 - Regolamento per l’autonomia
scolastica), l'attivazione di consorzi, la promozione di forme
di integrazione tra i diversi soggetti associativi e istituzionali.
La proposta dovrà pertanto connettersi
con diversi punti e livelli del sistema, valorizzando al massimo
i diversi soggetti:
• il protagonismo degli
operatori scolastici, operanti all’interno di
unità scolastiche dotate di ampia autonomia funzionale;
• la rete di servizi esistenti
(centri risorse, centri di documentazione, associazionismo
professionale, il sistema museale e le altre strutture di
gestione e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale)
già ampiamente presenti nel territorio, rendendola
più visibile e accessibile.
Un campo privilegiato dovrà essere
rivolto ad incrementare i livelli di informazione, partecipazione,
documentazione degli operatori attorno ai processi
di innovazione (in particolare, dell’autonomia
scolastica in tutti i suoi risvolti culturali e organizzativi).
La “formazione degli operatori rappresenta infatti un
investimento indispensabile e necessario per sostenere l’autonomia.
Da questo quadro emerge l’esigenza di promuovere un
utilizzo integrato
di tutte le risorse disponibili a livello territoriale con
il concorso degli Enti Locali.
Va sviluppata una cultura della
valutazione (una deontologia del render
conto) che da un lato possa incentivare sistemi di autovalutazione
in rete delle scuole, come sollecitazione alla cooperazione/competizione,
al miglioramento tramite lo scambio di esperienze; e dall’altro
si concretizzi in momenti pubblici (a cadenza annuale) di
analisi-sviluppo del sistema formativo territoriale, cui partecipano
tutti i “testimoni" che hanno titolo ad esprimersi
sulla qualità della formazione. |
4
VERSO
LA CONFERENZA TERRITORIALE:
LA PAROLA AI PROTAGONISTI
(le forze sociali, le imprese,
gli
operatori scolastici, gli studenti e le famiglie, le istituzioni
locali)
Il documento di base predisposto per la
Conferenza territoriale sulla scuola e la formazione intende
rappresentare uno stimolo culturale e operativo per consentire
a tutti i soggetti coinvolti e da coinvolgere nel dibattito
di esprimere le loro osservazioni e integrazioni.
Il documento, nelle sue prime tre parti, ha volutamente
uno stile argomentativo:
- procede per problemi e per nuclei tematici sui
grandi valori educativi in gioco e sul “senso”
della formazione per le persone e la comunità (parte
I);
- compie una prima diagnosi della realtà sociale, culturale
e produttiva del territorio faentino e dei correlati bisogni
formativi dei suoi abitanti, con particolare riferimento all’età
della scolarizzazione (parte Il);
- prospetta alcune possibili risposte che le istituzioni locali
possono fornire in termini di azioni condivise, progetti strategici,
sinergie e alleanze tra scuola e città per migliorare
la qualità dell’istruzione.
È importante che a partire dalle tesi del
documento ogni soggetto, agenzia formativa o istituzione scolastica
analizzi, arricchisca, integri le diverse proposte, con l’obiettivo
di pervenire ad una più ampia condivisione degli obiettivi
della conferenza e degli impegni comuni che ne possono scaturire.
4.1. LE IDEE IN MOVIMENTO
In particolare, in ordine al primo aspetto, relativo
alle idee che fanno da sfondo ad un nuovo interesse per la
formazione ed alla sua centralità nella vita di una
città e di un territorio, nascono
domande specifiche a cui sono chiamati a rispondere gli attori
del nostro territorio, ed in particolare quindi si
chiede:
Alle organizzazioni sociali,
culturali, professionali:
Quali i vantaggi nella costruzione di un ecosistema formativo
in cui i diversi soggetti sociali superano una visione miope,
separata e competitiva, in favore di una cultura della integrazione,
dell’interazione, della rete collaborativa?
AI mondo delle imprese:
Come è cambiata l’impresa, anche nel nostro territorio?
quali sono le esigenze formative e culturali poste dalle innovazioni
dei prodotti, dei processi, del lavoro? Come avvicinare i
giovani alla cultura “del lavoro”, al di là
delle vecchie gerarchie e dei soliti stereotipi?
Ai diversi attori professionali
che agiscono all’interno della scuola (insegnanti, dirigenti,
personale amministrativo):
L’autonomia ha determinato effettivi cambiamenti nella
vita quotidiana delle scuole? C’è maggiore possibilità
di decidere le caratteristiche dell’offerta educativa?
Quali le conseguenze sul piano delle professionalità
interne alla scuola? Come sostenere una autonomia reale?
Agli attori del sistema formativo
locale e ai suoi fruitori:
Si può dire che ad oggi esista, sul nostro territorio,
un sistema di rete pubblico-privato per l’ambito educativo?
Agli studenti, ai genitori
e alle loro forme di rappresentanza:
Come dare valore e significato alla formazione per tutti,
lungo l’intero corso della vita? Come tenere
in equilibrio l’idea di una formazione disinteressata
(il diritto all’istruzione, alla cittadinanza, al benessere)
con le esigenze di una formazione che risponda anche alle
nuove esigenze delle imprese, delle tecnologie, della società
globalizzata?
Alle istituzioni del Comune
di Faenza e dei Comuni del territorio (quartieri, gruppi consiliari,
ecc.):
È possibile mettere al centro delle scelte politiche
locali la risorsa “formazione” come volano dello
sviluppo produttivo, ma contemporaneamente indicatore di qualità
della vita e garanzia di piena cittadinanza?
Alla Regione Emilia-Romagna
e alla Provincia di Ravenna:
Federalismo, autonomia, riforma delle pubbliche amministrazioni
determinano nuovi spazi per l’iniziativa regionale e
provinciale (legge
regionale sull’istruzione). Come confermare la tradizionale
vocazione educativa e sociale dei nostri territori e la capacità
di far fronte alle nuove sfide? Quali le nuove priorità
e le risorse?
4.2. LA REALTA’ FORMATIVA DEL TERRITORIO
Anche in riferimento al profilo culturale della
popolazione, alla diagnosi dei bisogni formativi del territorio,
alla connessione tra sistema scolastico e realtà produttiva
nascono domande specifiche a cui sono
chiamati a rispondere gli attori del nostro territorio,
ed in particolare quindi si chiede:
Alle organizzazioni sociali,
culturali, professionali:
Le istituzioni culturali, gli enti di ricerca, gli istituti
scolastici e quelli di livello universitario, sono in grado
di costruire un sistema di opportunità educative e
di prospettare un insieme integrato e differenziato di percorsi
di istruzione/formazione per le nuove generazioni?
Al mondo delle imprese:
Il sistema produttivo locale è in grado di fornire
alle scuole ed alle altre agenzie formative le domande inerenti
la formazione di competenze e di profili professionali effettivamente
rispondenti alle esigenze di sviluppo delle imprese?
Ai diversi attori professionali
che agiscono all’interno della scuola (insegnanti, dirigenti,
personale amministrativo):
Quali le competenze professionali e didattiche per costruire
un curricolo “locale” attento alla cultura del
territorio e alle domande delle imprese, ma sensibile alle
diversità, agli interessi, alle caratteristiche della
popolazione scolastica, in vista del “successo formativo”
di ciascuno?
Agli attori del sistema formativo
locale e ai suoi fruitori:
Come può essere meglio valorizzata la collaborazione
tra pubblico e privato esistente sul nostro territorio in
ambito educativo? Quali azioni devono essere intraprese dai
vari attori del territorio affinché pubblico e privato
possano migliorare il loro modo di fare rete?
Agli studenti, ai genitori
e alle loro forme di rappresentanza:
Qual è il rapporto tra il sapere diffuso nelle istituzioni
scolastiche e la cultura del lavoro e dell’innovazione
nelle giovani generazioni? La scuola orienta all’innovazione?
Alle istituzioni del Comune
di Faenza e dei Comuni del territorio (quartieri, gruppi consiliari,
ecc.):
Come devono agire le autorità politico-amministrative
per recuperare le risorse e le sinergie possibili all’interno
del bacino territoriale locale, in funzione di un rilancio
delle politiche formative?
Alla Regione Emilia-Romagna
e alla Provincia di Ravenna:
Come aiutare le istituzioni scolastiche e formative a dialogare
con le imprese, per sostenere nel loro sforzo di internazionalizzarsi
e di competere nel contesto di un’economia globalizzata?
4.3 I PROGETTI STRATEGICI
Sul terzo punto (i progetti strategici), che si
può riassumere nella domanda “che cosa serve
per la riforma del sistema scolastico locale”, desideriamo
che gli interlocutori si esprimano sulle priorità delle
diverse azioni che possono essere messe in cantiere nel nostro
territorio.
Quali sono i “progetti”
da inserire in agenda per i vari attori del territorio?
Pertanto si chiede ancora:
Alle organizzazioni sociali,
culturali, professionali:
È utile costituire un “Tavolo” interistituzionale
(che si potrebbe denominare “Conferenza integrata per
il miglioramento dell’offerta formativa”) su scala
distrettuale, chiamando a parteciparvi tutte le rappresentanze
della società civile e delle istituzioni?
Al mondo delle imprese:
È opportuno dar vita ad un Osservatorio distrettuale
permanente bilaterale, perla rilevazione
delle esigenze delle imprese, della qualità/rispondenza
dell'offerta formativa, della connessione tra istruzione e
formazione professionale?
Ai diversi attori professionali
che agiscono all’interno della scuola (insegnanti, dirigenti,
personale amministrativo):
É necessario organizzare meglio e potenziare i servizi
informativi e didattici a supporto delle
scuole e degli insegnanti anche mediante le nuove tecnologie,
ad esempio, con l’attivazione di un portale WEB che
fornisca tali servizi e aumenti la visibilità di ciò
che di buono (le “best ptactices”) le scuole già
stanno facendo?
Agli studenti, ai genitori
e alle loro forme di rappresentanza:
Di fronte al disagio “anonimo" ai fattori di rischio
educativo, al possibile isolamento, è auspicabile migliorare
le forme di partecipazione e di ascolto, a tutti i livelli
(di classe, di scuola, di territorio) anche al fine di rinnovare
le sedi di rappresentanza e di decisione?
Alle istituzioni del Comune
di Faenza e dei Comuni del territorio (quartieri, gruppi consiliari,
ecc.):
È opportuno attivare presso l’Ente Locale una
sorta di sportello unico (unità operativa dedicata)
di forte supporto all’autonomia scolastica, che svolga
un ruolo di interfaccia tra cittadini, istituzioni scolastiche,
uffici amministrativi, avvalendosi anche del costituendo Osservatorio?
Alla Regione Emilia-Romagna e alla Provincia
di Ravenna:
Come connettere la progettualità di un territorio locale,
con le più ampie progettualità
regionali e provinciali; come sfruttare al meglio le nuove
competenze regionali e provinciali in materia di istruzione;
come definire gli ambiti ottimali per l’erogazione dei
servizi scolastici e formativi?
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